È arrivato quel simpatico periodo dell’anno scolastico in cui quasi tutti (insegnanti, famiglie e di conseguenza bambini e bambine) vanno in paranoia per i test INVALSI. Ho anche recentemente letto un articolo in cui una delle mie scrittrici preferite di quando ero bambina, Susanna Tamaro, si lancia in un’invettiva contro suddetti test (poi qualcuno mi spiegherà il motivo per cui tutti e tutte possono parlare di scuola, mentre io se devo parlare, che ne so, di recitazione, sto zitta e buona ad ascoltare chi lo fa di mestiere).
Premetto, non sono fan degli INVALSI per un motivo ben preciso che andrò a spiegare, ma nemmeno li metterei al rogo. Non stilerò una lista di pro e contro, perché credo che le sfumature che si possono e spesso si vogliono cogliere rispetto ai test standardizzati rischiano di diventare faziose e strumentalizzate verso il proprio metodo di insegnamento e valutazione. Essere obiettivi dunque non è semplice e, per quanto ora non sia di moda, ritengo di non avere una posizione netta in merito. Non tutto è bianco o nero, e gli INVALSI a mio avviso fanno parte di una sfumatura di grigio a sé.
Un paio di falsi miti e di problemi intrinsechi però ci sono e di quelli vorrei parlare, soprattutto perché, come la scrittrice Susanna Tamaro, di INVALSI parlano tutti e tutte, anche chi a scuola non ci entra da tempo immemore e il rischio di parlare a sproposito è altissimo.
FALSO MITO #1: I TEST GIUDICANO STUDENTI E STUDENTESSE
Non è vero. I test servono all’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa) per raccogliere dati in tutta la nazione e per capire come procede la scuola italiana secondo livelli europei, non arbitrari. Dopo aver seguito un'interessante formazione e posto domande alla gentilissima formatrice, ho anche capito il perché vengono svolti in classe seconda, grado che anni fa avevo reputato eccessivamente basso per avere una valutazione veritiera degli apprendimenti: la classe seconda viene presa come “asticella”, per vedere, nei successivi 3 anni, se effettivamente la scuola ha avuto un riscontro positivo sugli apprendimenti, il cosiddetto effetto-scuola.
FALSO MITO #2: I TEST GIUDICANO GLI INSEGNANTI
Altra bugia. A onor del vero, qualche preside scarsamente illuminato prende i dati per elogiare in collegio docenti (sentito con le mie orecchie) chi ha “eseguito una migliore performance”, così come so di colleghi che aiutano ragazzi e ragazze per “far vedere che hanno svolto un buon lavoro durante l’anno”. Nulla di più sbagliato, in entrambi i casi. Alla luce di quello che ho spiegato prima, gli INVALSI servono al sistema stesso per capire il livello di “salute” delle nostre scuole. Personalmente non mi sento giudicata dagli INVALSI, né nel bene né nel male. Conosco le mie classi, il valore del mio lavoro e, ecco qua perché non sono fan, i tempi di apprendimento di ogni bambino o bambina.
Proprio per questo, vado ad enucleare il:
PROBLEMA #1: I TEMPI
Sia i test standardizzati che tutta la valutazione nella scuola, si basano su un assunto che chiunque insegni da qualche anno è riuscito a smantellare in più punti: si impara tutti allo stesso ritmo. Spoiler: non è vero! È più che ovvio che, in particolare a livello di Scuola Primaria, i tempi di apprendimento siano diversissimi, così come è diversa la maturazione di ogni bimbo o bimba. Questo, molto complesso da far capire a genitori e tutori, è del tutto naturale e dipende, anche ma non solo, da componenti esterni alla scuola, uno su tutti la famiglia. Com’è possibile che un bambino che viene portato in un museo ogni fine settimana abbia lo stesso ritmo di apprendimento di un bambino che passa i weekend davanti allo schermo del tablet? È un caso che la bambina a cui sono state raccontate storie e letti libri sin da molto piccola abbia la soglia di attenzione molto più alta di un suo compagno che non ha avuto questa fortuna? Credo che dare per scontato che tutti e tutte le studentesse riescano in quel tempo a far vedere effettivamente cosa sanno e cosa hanno capito sia miope e anche controproducente.
PROBLEMA #2: LE CONOSCENZE
Gli INVALSI vengono affrontati generalmente i primi giorni del mese di Maggio, ad un mese intero dalla fine della scuola, dopo un mese frammentato come Aprile, di vacanze pasquali, ponti della festa della Liberazione e dei Lavoratori. Tutti e tutte le insegnanti sanno che Maggio è un mese prezioso: per concludere dei discorsi, per consolidare, per rivedere, per fermarsi. Diventa una sciocca corsa a finire il libro, ad affrontare argomenti en passant, a rimpinzare i cervelli di nozioni fini a sé stesse. E poi, se proprio dobbiamo dirla tutta e anche un po’ banalizzando… come mai solo italiano e matematica? Siamo sicuri sicuri bastino a capire la salute del sistema scolastico? Proviamo a chiedere dov’è il Trentino all’uscita della quinta, dopo un anno di un’ora di geografia a settimana (quest'anno nella nostra scuola 2 ore, grazie al cielo)?
PROBLEMA #3: LE ASPETTATIVE E LE CONSEGUENZE
Forse è il problema più grande. Ok i test, ok i tempi tiranni (sono ironica ovviamente), ok italiano e matematica e inglese (devo aprire una parentesi enorme su inglese), ma una volta raccolti i dati e stilate fasce alte, medie e basse, che si fa? Prendo ad esempio i test di ascolto di inglese: ma lo sapete che una percentuale molto molto alta di insegnanti di Scuola Primaria di inglese NON CAPISCE quello che viene detto in quegli audio? Anche se i più brighella volessero aiutare, non potrebbero. Avete mai visto le facce di bambine e bambini quando ascoltano quei dialoghi per la prima volta? Allora, capito che il livello di inglese è tra i più bassi d’Europa, e parlo degli adulti, vogliamo fare qualcosa a questo proposito? E no, anticipo la proposta, la risposta non è “facciamo insegnare ai madrelingua”, a meno che questi non siano formati anche in pedagogia (e ne conosco di bravissimi), ma creiamo delle graduatorie ad hoc per chi può insegnare ANCHE inglese. Faccio il mio esempio, ho vissuto all’estero, ho un livello di inglese C2, insegno inglese all’università, ho studiato pedagogia e didattica. Fatemi un colloquio, se non vado bene, vuol dire che chi avrà il mio posto, ha titoli, esperienza e pronuncia migliori dei miei.
Basta con l'iperspecializzazione. Il bello della Scuola Primaria è la sua interdisciplinarietà, viva ed attuata nella maggior parte dei casi, a differenza della secondaria.
In più, sapete qual è il livello medio di attenzione di un ragazzino di 11 anni o di una bambina di 7? Se c’è una cosa lampante che emerge dagli INVALSI è l’inadeguatezza del test. Attenzione, non sto parlando del contenuto. A dire il vero, l’aspettativa, quel modo di ragionare sotteso, quell’affrontare un problema in modo divergente, sono auspicabili e, per quanto mi riguarda, mi piacerebbe che italiano e matematica gli studenti arrivassero a quel livello di comprensione e abilità nel maneggiare la conoscenza. Ma per apprendere così, è doveroso cambiare modo di insegnare. Conosco molti insegnanti e colleghe che lo hanno fatto e lo stanno facendo, così come ne conosco altrettanti che si ostinano ad insegnare come se fossero negli anni ‘50.
E arriviamo all’amara conclusione davanti a cui gli INVALSI ci lasciano e che dunque li rende così odiati. La sequenza società diversa = famiglie diverse = bambini diversi = apprendimento diverso = insegnamento diverso, non è capita da tutti, ma che non la capisca chi ha il potere (ed il dovere) di cambiare le cose è frustrante e deludente. I test standardizzati non servono a nulla se non ad essere una spinta a cambiare le cose (in meglio). Le cose non stanno cambiando, anzi si incartapecoriscono sempre di più.
Suggerisco di leggere e studiare cosa ha fatto la Finlandia, dalla riforma scolastica negli anni '70 al punto di arrivo negli anni ‘10 del 2000. Un cambio radicale, coraggioso e lungimirante che ha portato ai livelli odierni. Non è stato un “metodo finlandese” come tutti vogliono far credere per essere alla moda, non è stata una bacchetta magica. È invece un “modello” finlandese, strutturale, che non parla né di contenuti né di metodologie assurde, ma di efficacia data dalla lentezza che richiede cambiare le cose, dalla pazienza dei risultati.
Vogliamo migliorare anche in Italia? Bisogna cambiare il modo di fare, a reti unificate, con uno scossone dall'alto, lento e progressivo. Ma in Italia si vuole tutto e subito e la lungimiranza è quasi impossibile, visto quanto reggono i governi. In più, cambiare, si sa, è molto più difficile che criticare.
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