Vi ricordate negli anni ‘90 o nei primi anni 2000 che genere di film e serie (all’epoca li chiamavamo telefilm!) trasmetteva la TV pubblica?
Come dicono i giovani, vi sblocco un ricordo:
1989: “L’attimo fuggente”
1992: “Io speriamo che me la cavo”
1996: “Caro maestro”
1997: “Genio ribelle”
2000: “Sei forte maestro”
2003: “Mona Lisa Smile”
Quei super film americani, conosciuti da tutti, hanno portato l’importanza di avere buoni insegnanti sui grandi schermi, ma sono quelle serie italiane, apparentemente innocue e che non ricordavo più, che hanno dato a generazioni intere di adulti e bambini un’immagine degli insegnanti (tutti protagonisti uomini… glisserò su questo) positiva, persone buone e rispettose innanzitutto, preparate ed in grado di vedere oltre al bambino o bambina che studia.
Mi sono resa conto che quel genere di telefilm non esiste più.
Tutt’altro.
Ora c’è un’assurda narrazione: storie di insegnanti stakanovisti che in un’intera carriera chiedono 2 giorni di permesso; fiabe di fannulloni che se possono non andare a scuola una balla se la inventano, così come malattie immaginarie; racconti thriller misto horror di colleghe che si prendono pallini ad aria compressa in faccia e bastonate da genitori scontenti.
Lo sappiamo tutte e tutti che le colleghe come la professoressa assenteista che ha insegnato 4 anni su 20 esistono. Lo sappiamo e nessuno fa nulla. Ci capita di denunciare questi comportamenti addirittura in provveditorato ma non succede niente (a quando una riforma sui licenziamenti nella Pubblica Amministrazione?).
Conosciamo bene quei colleghi che vivono a scuola, non tanto per amor di mestiere quanto perché per un motivo o per un altro a casa non ci vogliono tornare e capita che trascinino con sé colleghi con figli parcheggiati dai nonni, cani dal dog sitter o semplicemente persone che hanno cose da fare dopo l’orario di lavoro e che non dovrebbero essere costretti a rimanere ad oltranza.
E vuoi che non siamo a conoscenza del teppista di turno che mette la colla sulla sedia del professore, che prova a uscire dalla finestra mentre va in bagno, che riprende con il cellulare il/la prof mentre fa qualche errore, che tratta l’adulto (qualsiasi adulto) come pezza da piedi ed ovviamente rimane impunito (che non vuol dire “bocciateli tutti”, ma un aiuto, un percorso per genitori e figli, una reprimenda che non vada a finire in tribunale)?
Noi che viviamo la scuola come una professione e non come casa nostra, tutte queste cose le notiamo e le facciamo notare a chi potrebbe cambiare qualcosa, talvolta soprassediamo perché abbiamo altre priorità ben più gravi, a volte ci impuntiamo perché no, così non si può andare avanti.
Quello che non vedo, però (e non lo vedo perché effettivamente non fa notizia), è la narrazione di quello che la maggior parte degli insegnanti fa in classe tutti i giorni: la pazienza nei confronti di chi non ha ricevuto un’educazione consona al vivere in società, la fatica immane nel pesare ogni parola quando si parla di casi spinosi, l’empatia nei confronti di un bambino o bambina che non ce la fa per quanto ci provi, l’aiuto talvolta fisico che si dà a genitori che non sanno più che pesci prendere, la formazione continua per rimanere aggiornati e rinnovarsi e che farebbe vacillare le convinzioni didattiche del più cocciuto.
Allora, non le voglio chiamare “mele marce”, perché purtroppo non sono pochi i casi di colleghi non adatti all’insegnamento. E per non adatti intendo dannosi, deleteri, irrispettosi e impreparati. Intendo cose visibili, tangibili, riconosciute da un numero di colleghi e colleghe cospicuo.
Ci sono insegnanti normali, mediocri o bravissimi, ma quello è un giudizio molto più soggettivo. Mi è capitato di vedere un’insegnante che reputavo molto brava disprezzata da un genitore o invece uno che non sapeva né di carne né di pesce essere apprezzato oltremodo.
Non è la visione personale dell’insegnante, è la valenza professionale ed umana che non viene né riconosciuta quando c’è, né sistemata quando inesistente.
Fa notizia l’insegnante che vince un premio o un concorso. Quella che fa i lavoretti che nemmeno Michelangelo ai tempi d'oro, quella che ci racconta tutta la sua routine su instagram e fa passare per straordianrio l'uso della plastificatrice; esistono poi anche quella davvero strabiliante e quello alla Keating de “L’attimo fuggente”, rarità esistenti, ma pur sempre rarità.
Non vedo più storie di quotidianità ed insegnanti che ogni giorno non sanno che sfida si troveranno davanti. Come ormai da diverso tempo, c’è solo il buono ed il cattivo, la perfezione e la disfatta.
La scuola è piena di persone normali e preparate, eccezionali proprio perché riescono a rimanere tali senza dover mettere tanti fiocchi o apparire chissà dove. Insegnanti che si ingegnano per arrivare a tutti, che devono fare lezione in zone talmente disagiate che la scuola è un rifugio.
Si può riconoscere anche questo?
Non è forse questo un merito senza griglie di valutazione né elaborati magnifici? Rimanere equilibrati in un Paese che ci vuole sempre più uno contro l’altro?
Io vorrei ripristinare questa credibilità. E credo che giornali, televisione ed ora i social media possano avere un ruolo importante nel riabilitare la figura che passa più tempo in assoluto con bambini, bambine, ragazzi e ragazze in età scolare.
Il buon Zerocalcare ha chiamato la sua nuova serie “Questo mondo non mi renderà cattivo”.
Ed è proprio questo il punto.
La media di attenzione sempre più bassa, il giudizio facile ed evidentemente alla portata di tutti su tutto, la superficialità dilagante sponsorizzata dai social, sono tutti motori di questa corsa ad essere sempre più cattivi ed indisposti verso la comprensione. È più facile odiare che sforzarsi a capire.
Gli insegnanti sono lì, ogni giorno, che cercano di capire i giovani da una parte e parano i colpi inferti dai loro genitori dall’altra (non tutti s’intende, ma oggettivamente un numero in crescita).
Che facciamo? Ci vogliamo fagocitare a vicenda così che la scuola diventerà un luogo sempre meno sicuro e libero o vogliamo unire le forze di famiglie e scuola e cambiare, finalmente, la narrazione?
Propendo per la seconda.
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