Sono passati due mesi dalla fine della scuola e solo ora riesco a mettere in fila i pensieri di quanto è successo negli ultimi concitati giorni, della mole di affetto e riconoscenza che ha investito me e le mie colleghe da parte di ragazze, ragazzi ed i loro genitori, di cosa siano capaci una manciata di undicenni se "lasciati fare".
Se posso, umilmente, dare un consiglio a colleghe e colleghi che stanno pensando alla chiusura del quinto anno della Primaria (sì, tu che stai leggendo e non sei insegnante, ci si pensa già a settembre!), mi sento di dire questo: fate che, dalle 8.00 alle 13.00 sia tutto per loro e con loro. Lo so, sembra una cosa scontata vista da fuori, ma a volte noi insegnanti ci arrovelliamo per un finalone con cappelli da laureato di carta, canzoni cantate ai genitori all'uscita con balletti annessi, imprese mirabolanti e spesso scenografiche quando basterebbe una cosina semplice semplice: passare tutto quell'ultimo prezioso tempo con loro, senza "cose da fare" se non qualcosa da dare o vedere insieme.
Quelle cinque ore che abbiamo passato con i nostri alunni e alunne sono state cinque ore cristallizzate, in cui ci siamo vissuti per l'ultima volta, dopo cinque anni di quotidianità e minuti dati per scontati. Abbiamo mantenuto dei rituali (iniziare e chiudere l'anno con una lettura), abbiamo aperto "macchine del tempo", bigliettini segretissimi scritti a inizio anno e chiusi in buste gialle, abbiamo deciso di passare la maggior parte della giornata al parco, all'ombra di una gigantesca quercia roverella, a giocare, ricordare e mangiare un gelato o un ghiacciolo.
"Maestra, ti ricordi quando tornando dal giardino abbiamo preso in pieno uno scrullone d'acqua? Che divertente!"
"E quella volta che abbiamo vinto il premio ma avevano detto che un'altra scuola era arrivata prima? Che roba!"
"Chissà se è ancora vivo Sergio Mattarella..."
"Certo che è vivo! Che notizie hai sentito?!"
"Ma non il presidente della Repubblica... il pesce rosso che abbiamo messo nello stagno!" "Ah, già... sì sì, è vivo pure lui!"
"E quando abbiamo pianto per un'ora intera ascoltando le canzoni della tristezza? Non riuscivo più a fermarmi!"
"E quando abbiamo fatto i gladiatori? Bei tempi..." "Ma era il mese scorso in gita!" "Ah, vero! Sembra un vita fa!"
Nessuno si è annioato, il tempo è volato.
All'uscita, una sorpresa: i genitori hanno cantato per loro. Non credo di aver mai visto questa inversione di ruoli così pura e commovente.
Ma una cosa in particolare mi ha veramente colpita. Senza alcun preavviso, durante la mattinata, un alunno mi ha chiesto se potevo prestargli il mio computer.
"Però non ti posso dire perché... ti fidi di me?"
Lui chiedeva a me se mi fidavo. L'ultimo giorno di scuola. L'ultimo giorno di scuola di quinta.
La risposta è stata certo che sì (anche se un brividino lungo la schiena a non vedere il mio PC personale per mezz'ora è sceso!) e quando me l'ha riportato mi ha ringraziato e ha detto che gli sarebbe servito a fine mattinata.
Intorno alle 12.00, dopo aver visto un video con loro protagonisti e in cui hanno riso, pianto e cantato precisamente quando ce lo aspettavamo (non puoi non conoscere i tuoi alunni e alunne dopo così tanto tempo passato insieme!), ci hanno detto:
"Ora tocca a voi. Sedetevi qua davanti."
Hanno preso possesso del mio computer muovendosi da programmatori scafati e ci hanno mostrato una presentazione fatta interamente da loro: ciascuno e ciascuna aveva creato una pagina in un file condiviso, l'aveva personalizzata e ci aveva scritto quello che preferiva, riguardo noi insegnanti, questi cinque anni, a come si sentissero. L'hanno letta, una per una, con la voce rotta, qualcuno non ci è riuscito e l'ha fatta leggere ad un'amica o amico.
Io non avevo parole e per una che parla di continuo significherà pure qualcosa.
In ogni pagina si poteva vedere la personalità di chi l'aveva scritta, la volontà di dire solo quello che si sentiva e nel modo in cui preferiva. Qualcuno ha scritto una poesia, qualcuno ha nascosto delle battute ironiche nell'affetto (e viceversa!), qualcuno è stato più grafico. Conservo questo "prodotto del cuore" con grande gelosia e non lo condividerò qui, ma un paio di frasi, di quelle che ti fanno davvero cadere all'indietro quando pensi che l'ha scritta una ragazza o un ragazzo di 10-11 anni, le riporto qui sotto e credo che le stamperò per farci un bel quadro.
"Grazie per avermi insegnato cosa fare e cosa evitare." "Siamo cresciuti tantissimo con delle maestre che aiutano tutti, senza mai un 'ma'"
"ma io penso e credo che
il posto adatto a me
sia la scuola, un posto pieno di emozioni
dove poter esprimere le proprie opinioni"
"È come se noi fossimo una foto e voi la macchina fotografica e ci avete insegnato a stampare il mondo."
Si chiude un capitolo e la mente non può che andare al salto che farò a settembre, dal parlare di cittadinanza, solidarietà e l'importanza del dissenso pacifico al rispettare regole di convivenza civile di base! Quando si "ricomincia da capo" lo shock non è il salto didattico, ormai siamo rodate, anzi con più esperienza si evitano anche errori fatti (in buona fede) in passato, si ha un occhio sempre più allenato per vedere le esigenze di ciascuno, il percorso sarà diverso perché saranno diversi bambini e bambine e siamo un po' diverse anche noi. Le classi che ho lasciato a giugno mi hanno avuto dalla seconda (34 anni) ad ora (38). Com'è possibile che io sia sempre la stessa, tolti i valori base di giustizia ed equità che mi accompagnano da quando ho memoria?
Ho migliorato (e conto di migliorare ancora) la scelta nell'utilizzo delle parole, la programmazione di attività di valore, la gestione della pazienza e dell'extra carico di lavoro, delle frustrazioni derivanti dal non essere capite anche le migliori intenzioni.
È peggiorata la mia tenuta fisica 😅, la sopportazione alla mancanza di professionalità.
Essere sempre sé stessi davanti a generazioni in continuo cambiamento, con codici comnunicativi a volte incomprensibili, con una latente disillusione nei confronti di un mondo sempre più cattivo, è difficile, la sfida più difficile quando si comincia un ciclo nuovo.
Di solito dal 15 agosto comincio a pensare all'anno nuovo, un po' perché ferragosto mi ha sempre dato l'orticaria e fare qualcosa di produttivo mi fa respirare, un po' perché ci vuole tempo per entrare nell'ordine di idee che la routine che conosci è completamente saltata. Pensateci. Dopo 4 anni che fai le stesse cose con le stesse persone, cambia tutto. I 44 sono diventati 42, sono alti e alte almeno mezzo metro in meno e ti faranno domande tipo
"Perché le maglie di lana non sono tutte bianche? Io non ho mai visto pecorelle colorate..."
Anche se pensare alla lana con questo caldo mi fa girare la testa, da domani penserò almeno due risposte all'altezza della domanda, perché, e questo lo so per certo, "la scuola è il posto adatto a me".
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