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Writer's pictureLa maestra con gli occhiali rossi

Non è un Paese per giovani insegnanti

“Potevi rimanere in Inghilterra, se ti piaceva così tanto.”

“Qui le cose si fanno così, adeguati.”

“Tu fai tutte ste cose per apparire, è chiaro.”

“Ma non ti stanchi mai di passare per la rompiscatole?”

Lei deve stare in silenzio! Ho detto che non può parlare!”

“Te sei matta, io questa roba non la farò mai.”

Lei ha delle doti, ma sono evidentemente mal riposte.”

“Quando le cose non ti riguardano, dovresti stare in silenzio e farti gli affari tuoi.”

“Ah, ma lo sanno tutti che lei è sempre sopra le righe.”

Lei dovrebbe lavorare di meno.”

“Lo devi capire… essere tua collega è difficile.”

“Ma non hai una casa dove andare?” “Ah già, lei non ha figli!” “Ma quando ti trovi un bravo ragazzo e esci da questa scuola?”

“Come si permette di dire queste cose in collegio?”

“Ma se non ha figli, come fa a essere una brava maestra. Le mancherà sempre qualcosa!”


Queste sono frasi rivolte a me, sentite con le mie orecchie o riportate da colleghe a me vicine in 11 anni di scuola. Sono frasi di ex colleghi, dirigenti, personale ATA. Sono frasi dettate dall’ignoranza, dalla presupponenza, dal pensiero che essere in età più avanzata o qualifica più “alta” ti permetta di dire tutto ciò che ti passa per la testa, vero o falso che sia.


Non mi fraintendete, non sono di certo le uniche frasi. Quelle di supporto e valore sono infinitamente più importanti e vengono da voci che ho imparato a riconoscere come sane e amiche.

Ma lo capisco il timore delle ragazze (statisticamente molto più alto che quello dei ragazzi) che si avvicinano alle prime supplenze, quel sentore di nonnismo onnipresente, la voglia di far parte di un gruppo ma l’ostilità al cambiamento. Entri a scuola (bene che vada) a 25 anni e hai mille idee, alcune obiettivamente non realizzabili per eccessivo futurismo, ma le hai. Hai voglia di capire, di sperimentare, di essere guidata da persone più esperte, ma con la grazia di chi capisce che non puoi sapere già tutto, che hai bisogno di imparare anche le cose più banali.


Mi ricordo il dolore che hanno provocato quelle frasi, soprattutto perché cercavano di smorzare due valori a cui tengo tanto e che mi identificano come professionista e come persona: l’entusiasmo e il senso di giustizia. Ricordo quelle che mi sono state dette dentro una stanza con dieci persone, quelle in separata sede e quelle davanti ad un centinaio (ancora mi sogno qualche collegio docenti con persone intente a guardarsi le scarpe o ad indignarsi più alle mie parole schiette che all’ingiustizia davanti al loro naso). Ricordo i giudizi sulla mia vita fuori dalle mura della scuola, come se quella cattiveria gratuita potesse cambiare il mio modo di insegnare.


In un Paese dove fare un po’ di più del “dovuto” è visto come arrivismo o protagonismo, non viene nemmeno preso in considerazione che una persona abbia voglia e gioia di creare e proporre novità per il gusto di farlo.

In un ambito, quello scolastico, dove spesso è tutto fermo, il nuovo arrivato è spesso un attentato allo status quo, peggio mi sento se ha delle idee che portano fuori dal tracciato.

In un mestiere, quello dell’insegnante, dove molte persone (molte, non tutte) una volta sedute non si alzano più, proporre un po’ di movimento è malvisto e talvolta pericoloso.

In una “gerarchia” professionale dove l’ultim*, spesso la/il più giovane, non conta nulla nemmeno se ha più titoli di tutti quanti messi insieme, il buonsenso non esiste perché la superficialità è diventata d’obbligo, l’equità è una cosa sempre più rara, la giustizia e, soprattutto, l’umanità sono valori su cui soprassedere senza grandi rimorsi.


Ecco, colleghe alle prime esperienze, giovani ma anche più grandi sia di età che di cuore, non abbiate timore di queste frasi e delle persone che ci sono dietro. Sono appunto persone, valgono “uno” e nella scuola credo abbia molto più valore quello che si fa per alunne e alunni in buona fede (e in buona compagnia) che un milione di arroganti in preda ai deliri di onnipotenza. Non esiste nessuno meglio di voi, semplicemente perché voi siete uniche e unici nel vostro percorso e competenze.


Pur con qualche livido, sono sopravvissuta a queste frasi, mi hanno insegnato a creare un cerchio più stretto con la possibilità di farvi entrare quante più persone pure, felici di fare l’insegnante e soprattutto senza alcuna intenzione di buttare giù un* collega per sentirsi più forte.


La scuola è piena di chiacchiere da bar ed è questa sinceramente una delle cose che durante l'estate non mi manca per niente e che sarebbe così semplice da cambiare all'interno di ogni istituto.

Evitiamo di giudicare o puntare il dito contro un* collega, in generale. Se professionalmente non siamo d'accordo non significa che umanamente dobbiamo scadere in facili giudizi o, peggio, in screditamenti gratuiti.

Cominciamo a pensarci ora che manca poco più di una settimana all'inizio dei giochi. Arriveremo al primo collegio con la voglia di creare un luogo dove si sta bene e la didattica di conseguenza ne trarrà solo beneficio.

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2 Comments


rikiechiara
Aug 22, 2023

Ho avuto la fortuna di conoscerla questa maestra con gli occhiali rossi e dico ce ne fossero di persone così.... Non entro nel merito della didattica perché non sono del settore e non mi permetterei mai di giudicare, ma posso dire di aver visto finalmente bambini entusiasti di andare a scuola, di avvicinarsi a materie del tutto sconosciute, sempre con occhio curioso alla scoperta di cose nuove anche con proposte fuori dall'orario scolastico.

La scuola come ogni settore deve andare avanti e vedere persone con così tanto entusiasmo e dedizione ti apre il cuore e ti fa ben sperare. Lasciare andare una 'forza' di questo tipo sarebbe una grossa perdita.

Coraggio e sempre a testa alta!


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Flavia Farina
Flavia Farina
Aug 22, 2023
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🤍

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