In vista della fine dell’anno scolastico, mi soffermo sempre a pensare su cosa voglia dire per me “valutazione”, su cosa significhi per i bambini e bambine, ragazzi e ragazze e per i loro genitori.
Mi rendo conto di parlarne spesso con i bambini, per far capire loro che la valutazione è l’espressione di un percorso e che spesso invece viene confuso con le sue tappe o con un foglio di carta (la verifica scritta). Quegli indicatori (avanzato, intermedio, base, in via di prima acquisizione) che vediamo nelle pagelle da un paio d’anni, racchiudono mille significati, difficilmente comprensibili se vengono relegati ad una lettura a mo’ di lista della spesa.
Guardando insieme un bel video (questo → https://www.youtube.com/watch?v=Rh3Ggl6s8-c) riguardo alle unità di misura, il matematico Bruno D’Amore spiega che anche la valutazione a scuola misura qualcosa, ma non sempre è facile farla visto che:
a valutare è innanzitutto una persona, dunque per quanto oggettivo, il criterio può facilmente essere interpretabile
chi è valutato viene testato in più momenti, momenti in cui molto probabilmente proverà emozioni e sensazioni diverse (stanchezza, agitazione, talvolta ansia, sicurezza…)
non esiste un criterio di valutazione uguale per tutti (e meno male)
Detto questo, mi chiedo se e cosa rappresenta per ognuno di noi una valutazione. Personalmente, come la viviamo? Da adulti, come viviamo l’essere giudicati? Ci ricordiamo come ci sentivamo da bambini?
Uno dei ringraziamenti che più spesso faccio ai miei genitori è la totale assenza di pressione e di giudizio nei confronti del mio operato scolastico.
Hanno sempre accettato di buon grado il mio impegno (la parte più importante, ma non necessariamente sempre uguale nel tempo), mi hanno spiegato che non si può eccellere dappertutto e che sicuramente la costanza aiuta (non il mio forte, devo ammetterlo). Ma oltre a questo, il voto in sé per sé non contava nulla. E quando dico nulla, intendo proprio nulla. È capitato che mia madre mi lodasse per un 6 e non per un 10, che mi lasciasse fallire in autonomia per poi aiutarmi se necessario, che mi ricordasse l’importanza della pausa e del riposo, che gioisse con me per un 18 così come per un sudatissimo 30 all’università. Era sempre chiara una cosa: quello era un numero. Ma cosa mi era rimasto di quell’esame? Cosa avevo imparato da quella ricerca sui Romani fatta troppo velocemente (anche se avevo preso "ottimo")? Qual è l’obiettivo, il voto o la conoscenza? L’ostentazione di sapere le cose o l’imparare a ricercare per usarle in modo positivo per sé e per tutti?
L’insegnamento dei miei genitori, come sempre, ha posto le basi. L’esperienza come studentessa ha consolidato suddette basi. Lo studio all’università le ha arricchite, dato basi scientifiche e avvalorate.
E anche ora, da insegnante, tendo a dare alle valutazioni un’importanza relativa: relativa al momento dell’anno (sono stanchi? hanno la testa alle vacanze? quanto abbiamo approfondito questo argomento?), alla difficoltà dell’argomento (sto valutando se hanno capito le divisioni a due cifre o che cos’è il perimetro?), al bambino o bambina singolarmente (fa queste operazioni con un aiuto o senza? vede un risultato nel suo impegno? cosa gli/le succede quando è il momento della verifica?), a come riesce ad applicare quello che ha imparato (le famose competenze) e se lo mette al servizio del gruppo (non è questo che poi farà nella vita di tutti i giorni?) e infine alla crescita in un anno (riusciva a fare questi ragionamenti due mesi fa? accetta di buon grado un fallimento? come vive il successo?).
Se vedo che un bambino durante la lezione non ascolta o per più volte di seguito non fa i compiti, dove arriva il disagio e dove la svogliatezza? Come faccio a valutare allo stesso modo l'impegno di una bambina che ha la possibilità di avere una stanza sua dove fare i compiti ed un’altra che vive con 8 fratelli e trovare un attimo di tranquillità è quasi impossibile? Come posso essere sicura che il rispetto che io ho per le loro peculiarità familiari sia altrettanto verso la mia persona, o se non altro verso la mia professionalità?
Al netto di difficoltà personali più o meno esplicite, i bambini meno motivati sono quelli a cui a casa viene detto che la maestra non capisce niente, che (pardon) il prof è uno stro**o, che la prof “non ha di meglio da fare che inventarsi ‘ste attività?”, che questo te lo sta insegnando male, che “ai miei tempi” si davano più/meno compiti (cambiare a seconda dei “suoi tempi”), ecc…
Non ho bisogno di ottomila verifiche oggettive (che alla primaria oggettive non saranno mai) per sapere se un bambino sa le tabelline, non ho bisogno di correre per finire il libro (ad esempio, quest'anno ne abbiamo volutamente scelto uno con tante attività, consapevoli di non poterle fare tutte).
Durante la Scuola Primaria, c’è una sola cosa che ho a cuore, oltre a far arrivare ogni bimbo e bimba (a suo tempo) alla comprensione effettiva di un concetto: che imparino con piacere.
E in questo “imparare con piacere” rientra che facciano della fatica una scala verso il consolidamento di un ragionamento.
Che capiscano che l’impegno ripaga sempre, ma che quel traguardo ed il momento di arrivo è diverso per ognuno di noi.
Che avere costanza è difficilissimo, ma aiuta quando la mole di lavoro aumenta.
Che sbagliare è davvero il modo giusto per imparare, se non l’unico.
Che lo studiare troppo, così come lo studiare poco, non aiuta nessuno.
Che la relazione che hanno con una materia può dipendere da un momento, da un insegnante più o meno coinvolgente, da una personale facilità di esecuzione, da un interesse che viene dalla famiglia (quanti alunni e alunne conoscete sinceramente interessati alla matematica perché hanno a casa qualcuno che la usa per lavoro?).
La valutazione è tutto questo insieme e, vi renderete conto, che è impossibile condensare tutto questo, più quelle 5 ore al giorno, tutti i giorni da un anno, in cui vediamo questi bambini e bambine, in un voto o un giudizio.
Le valutazioni oggettive (test, verifiche scritte sulle operazioni), a mio avviso, servono a poco ai fini di una valutazione completa, formativa. Ed in definitiva vengono fatte perché, udite udite, possono essere una prova nero su bianco davanti ad un genitore che non è d'accordo con l'insegnante, o viceversa per dimostrare che il proprio figlio/a "vale di più". Come se un voto giudicasse la persona e non un contenuto.
Dicevano due GRANDI prima di me:
“Mai imparare a memoria ciò che si può trovare in un libro. Non ho mai insegnato nulla ai miei studenti; ho solo cercato di metterli nelle condizioni migliori per imparare.” {A. Einstein}
“La scuola la vorrei senza pagelle e con tante cordiali chiacchiere con i genitori, perché, alla fine, invece di una bella pagella, si abbia un bel ragazzo, cioè un ragazzo libero, sincero, migliore comunque.” {M. Lodi}
Sono pronti, genitori ed insegnanti, ad accettare con fiducia e coscienza la valutazione di un percorso e non la mera verifica di contenuti?
È pronta la società a capire che il valore di una persona non equivale alle cose che sa, ma alle scelte quotidiane che fa nell’usare la sua conoscenza?
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